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Redi Made

a cura di Roberta Reali

L’artista, che oggi insegna tecnica dell’incisione all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha esordito nel 1956, a soli quindici anni, con la prima personale tenutasi nella “Piccola galleria del Polesine” di Livio Rizzi a Rovigo, con dipinti di drammatico realismo. Conoscerà poi l’insegnamento e l’affinità di molti maestri, traendo dal flusso della vita e della storia dell’arte veri e propri “segni ritrovati”, che riutilizzerà all’interno della propria opera, rendendone palesemente riconoscibile la matrice. E’ un modo operativo di derivazione Dada e Pop, ma certamente non estraneo all’arte di ogni tempo e luogo, basti pensare alla pittura vascolare greca, alle icone bizantine o alle Madonne del Bellini. 

Infatti il vissuto del pittore, come grande conquista novecentesca, si riversa nel presente della tela sintetizzando esperienza e memoria nell’attualità dell’intuizione di un opera unica ed eclettica. Nell’arte di Gian Paolo Berto vi è perciò ogni volta un autoritratto, un cosmo, che è frutto di una costante ricerca introspettiva, dove spesso compaiono serie iconologiche, come quella della Madre, del Figlio e dell’Errante, in cui la mitologia personale dell’autore viene a coincidere con gli archetipi storici e universali dell’umanità. Il motore di tale “furibondo e ostinato amore per la pittura”, come ebbe a dire di lui Guttuso, risiede nel suo “appassionato desiderio di definire figurativamente i sentimenti” e nella sua religiosa ricerca di verità nella vita e nell’arte, realtà di cui non si fa distinzione.

Non ci si dovrà stupire quindi se la produzione dell’artista veda, accanto all’incisione e alla classica pittura di paesaggio ad olio su tavola o su tela, figurare un’esplosione di acrilici, collages, assemblaggi, appropriazioni, creati con materiali di recupero e vario merchandising, in un puro spirito di ricerca, nel senso di una sintesi dell’intera esperienza figurativa del Novecento. Ma, nella pittura di Berto, la libertà del segno plastico, netto, e costruttivo, l’operare sia con i colori primari che con trasparenze ceruleee, con formati, tecniche e materiali tradizionali e nuovissimi, con simboli e storie antiche e moderne, consente all’autore di toccare ogni corda dell’animo umano, e di arrivare così ad ognuno. 

Le mistiche entelechie, le fulgide e maestose Venezie, le più recenti colte in gotici notturni, il diafano lirismo del paesaggio polesano, gli “Erranti” che navigano verso l’ignoto, metafora della condizione umana, lo sguardo del fanciullo, Alessandro, fisso sulla “madre cosmica” J.B., sono raffigurazioni generate dalla visione interiore dell’artista che si confrontano con l’ironia “neocubofuturista” di “Redi Made”, delle installazioni e degli assemblaggi e degli oggetti ritrovati, anch’essi composti ad arte con la stessa perizia e conoscenza tramandata dagli antichi. 

La pittura di Berto si dimostra infatti sorvegliatissima, colta e ispirata, al di là dell’apparente facilità e immediatezza che consegna al fruitore più livelli di lettura: nulla è lasciato al caso in questi microcosmi dove la classicità incontra il contemporaneo e in cui tutto intrinsecamente tende alla corrispondenza tra numero, forma e armonia.